GIOVANNI MARTINELLI
(Montevarchi/Arezzo, 1600-1604 – Firenze, 1659)
Carità Romana, 1640 ca
Olio su tela, cm. 129 x 146
Note: Expertise Prof. Sandro Bellesi, Prof.ssa Mina Gregori, Prof.ssa Silvia Benassai e Prof. Giuseppe Cantelli. A sue volte l’attribuzione è stata confermata con relative pubblicazioni mostre: dal Prof. Pierluigi Carofano, Dott. Emilio Negro, Prof. Franco Paliaga, Dott.ssa Anna Bisceglia e Dott.ssa Silvio Bruno.
Provenienza:
• Collezione privata Siciliana.
Pubblicazione:
• Sandro Bellesi, in Studi sulla pittura e sulla scultura del ‘600 – ‘700 a Firenze, Firenze 2013.
• Pierluigi Carofano, in TENEREZZA E LUCE nella pittura italiana tra Quattrocento e Settecento, catalogo della mostra (Pontedera, Centro per l’Arte Otello Cirri, 14 dicembre 2013 – 18 gennaio 2014), Pontedera, 2013.
Esposizione:
• Pontedera, Centro per l’arte Otello Cirri, “TENEREZZA E LUCE nella pittura italiana tra Quattrocento e Settecento”, a cura del Prof. Pierluigi Carofano, 14 dicembre 2013 – 18 gennaio 2014, con la partecipazione del Comitato Provinciale di Pisa per l’UNICEF a sostegno dei bambini siriani;
Il dipinto in esame è stato studiato indipendentemente dalla Professoressa Mina Gregori e dal Professor Sandro Bellesi, che hanno ricondotto la tela all’attività matura del pittore nato a Montevarchi e formatosi a Firenze, in due comunicazioni scritte ai proprietari. L’opera ritrae un famosa scena nota come Carità Romana, narrata dal Valerio Massimo nel quinto libro di Factorum et dictorum memorabilum, tratto dal racconto Die Pietate in parentes. In esso so racconta che un uomo anziano (Cimone) costretto in carcere senza cibo, destinato alla condanna a morte, viene tenuto in vita dalla figlia (Pero) che si offriva di nutrirlo dal proprio seno. La tela presenta in primo piano i due protagonisti della storia, inseriti nel contesto architettonico che vede Cimone sporgersi dalle inferriate del carcere in cui è prigioniero. La composizione è giocata sui contrasti di luce tra lo sfondo, risolto con cromie brune, e il primo piano, che evidenzia la figura di Pero, in cui spiccano le tonalità vivaci delle vesti. L’opera è databile tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, all’apice della produzione pittorica dell’artista, dopo il soggiorno romano che permise a Martinelli di confrontarsi con personalità tra cui Orazio e Artemisia Gentileschi, oltre a Simon Vouet e Massimo Stanzione. La tela, infatti, rievoca le esperienze romane con un fare pittorico fiorentino, che tende ad esaltare le cromie nei primi piani. E’ il periodo delle grandi tele di contenuto allegorico-morale, che riscossero particolare fortuna dal quarto al sesto decennio del XVII secolo. I riferimenti più immediati possono ravvisarsi in opere tra cui la Pala del Rosario della chiesa dei Ss. Stefano e Caterina di Pozzolatico, ovvero la Madonna e Santi di Biforco. L’eleganza formale e la ricerca di una sensuale vitalità nelle scene accostano la produzione di questo anni a personalità quali Giovanni da San Giovanni e Francesco Furini, in cui la resa teatrale dei soggetti raffigurati coinvolge lo spettatore nell’episodio narrato.